Il tonno nel Mediterraneo
Il Mediterraneo è storicamente ricco di tonno: le specie presenti (un tempo in grande abbondanza) sono alalunga, alletterato e tonno rosso. Quest’ultimo effettua due migrazioni all’anno: in primavera entra dall’Oceano Atlantico nel Mediterraneo tramite lo stretto di Gibilterra per fecondare le uova (bottarga). Nel Mediterraneo, infatti, il grado di salinità e la temperatura dell’acqua sono ideali per lo scopo. A fine estate, il tonno rosso fa il tragitto inverso e torna verso le fredde acque dell’Atlantico.
Sulla pesca del tonno di Sicilia scrivono Omero e Plinio, e non è difficile capire perché per approfittare di queste migrazioni di massa, siano state ideate le tonnare: sistemi di reti in grado di intercettare un gran numero di esemplari in poco tempo.
Le tonnare di andata e di ritorno
In Sicilia esistono tonnare di andata e tonnare di ritorno. Le tonnare di andata sono nella parte nord, come a Favignana e a San Vito Lo Capo: pescavano il tonno in arrivo dall’Atlantico da aprile a giugno. Un tonno lento e grasso perché carico di bottarga.
Intorno al 13 Giugno in occasione di Sant’Antonio, come dicevano i vecchi tonnaroti, al tonno “furriava l’occhiu” (girava l’occhio), cioè, tornava a dirigersi verso l’Oceano Atlantico passando dallo Stretto di Messina e lungo la costa di sud est per dirigersi verso l’Oceano Atlantico. In questa zona si trovavano quindi le tonnare di ritorno attive fino a fine agosto.
Come funzionavano le tonnare
Le tonnare erano un insieme di reti per la pesca posizionato in acqua per circa 3 mesi e un insieme di fabbricati “malfaraggi” sulla costa per la lavorazione del pescato.
Le reti erano sistemate a circa un miglio dalla costa in modo da formare tre camere: la grande, la piccola e quella della morte. Le prime due servivano a incanalare il tonno verso la terza. Questa aveva il fondo formato da reti che venivano sollevate per favorire la presa del tonno.
Tra le camere e la costa veniva attaccato il pedale, cioè una rete lunga un miglio, ancorata con delle grosse ancore al fondo del mare e tenuta a galla con grossi pezzi di sughero. Il tonno, che arrivava da nord (nel caso di Marzamemi), scambiando il pedale per la costa lo seguiva fino a finire dentro le camere.
La mattanza
Attorno alla camera della morte sostavano gli scieri, grandi imbarcazioni lunghe circa 20 metri comandate dal Rais e suddivise in sciere capo rais e sciere di levata dove erano posizionati i tonnaroti addetti a tirare su le reti. Quando il rais, scrutando il fondo della camera della morte, si accorgeva dell’elevata abbondanza del pescato, alzava la mano e gridava ‘’Levata!’’. A quel grido, i tonnaroti degli scieri di levata cominciavano a tirare su le reti. Per sostenere il ritmo, si facevano forza cantando la Cialoma. I tonni, una volta a galla, venivano arpionati e issati a bordo.
Una volta a terra, il tonno veniva scaricato dallo sciere e deposto in un altro magazzino chiamato camperia, loggia appiccatoio o bosco, dove veniva squartato e appeso per la coda per consentire la fuoriuscita del sangue. Anticamente veniva solamente fatto a pezzi e salato nei barili ‘’ra tunnina’’ (barili del tonno), successivamente venne introdotta una lavorazione diversa che prevedeva la bollitura delle carni conservate poi sott’olio.
La tonnara di Marzamemi
Il borgo di Marzamemi è un’antica tonnara. Ci sono ancora le case dei pescatori, ora diventate locali turistici, e lo stabilimento della tonnara di terra, addossato al palazzo del Principe Nicolaci, con quello che resta dei fumaioli.
La documentazione relativa mostra non soltanto quanto fosse redditizia e produttiva questa tonnara ma anche il rapido sviluppo dellʼhinterland agricolo la cui produzione veniva imbarcata per “fuori Regno”: “Lʼincremento delle attività rese necessario lʼampliamento della borgata verso sud con un sistema di magazzini disposti lungo lʼinsenatura a ridosso dei pantani, opportunamente convertiti in saline.
Di conseguenza Marzamemi divenne un importante centro logistico per lo smistamento e lo stoccaggio non solo del tonno, ma anche dei prodotti agroalimentari provenienti dai feudi vicini”.
La tonnara di Portopalo di Capo Passero
Era l’ultima tonnara di ritorno, perché più a sud la striscia di mare si allarga e per il tonno era più facile tornare spedito e indisturbato verso l’Atlantico. Era una delle più importanti, antiche e pescose ma ormai in completo abbandono. Di questa tonnara facevano parte anche i magazzini che si trovano sull’isola di Capo Passero, utilizzati per riporvi durante il periodo invernale le reti e gli scieri.
La tonnara di Vendicari
Condizionata dalla vicina tonnara di Marzamemi, più efficiente e favorita da migliori contesti ambientali, la tonnara di Vendicari era soggetta a periodi di magra (e anche di chiusura nella seconda metà dell’Ottocento). Oggi, quelli che erano i ruderi diroccati dello stabilimento con i suoi cento metri circa di lunghezza, i pilastri che ne sorreggevano il tetto, la ciminiera altissima e le case dei pescatori, sono stati completamente restaurati e riconsegnati alla comunità. La tonnara è quindi diventata uno dei simboli di Vendicari, una struttura di grande fascino che domina la zona centrale della Riserva.
La tonnara di Avola
Si trova nel vecchio borgo di marina d’Avola in fondo a via Antonio D’Agata. La struttura superstite, di circa 5000 mq, è composta da una serie di magazzini e capannoni per la custodia, conservazione e lavorazione del pescato attorno a una loggia centrale. Il complesso era anche dotato di una chiesa a navata unica, probabilmente di fine Settecento. Diverse sono le famiglie che si sono susseguite nel corso degli anni sulla proprietà della tonnara; ricordiamo i Tornabene di Catania, i Loreto, i Nicolaci e i Caruso. La tonnara di Avola inizialmente era chiamata Tonnara del fiume Noto, proprio per via della sua collocazione alla foce del suddetto fiume. Solo dopo il terremoto del 1693, i caseggiati vennero ricostruiti in zona “mare vecchio” e da lì cambiò nome in Tonnara di Avola o del borgo.
La tonnara di Terrauzza
Si trova all’ingresso della penisola della Maddalena (sulla costa di Siracusa) ed è composta da un edificio settecentesco strutturato in un unico corpo, anomalo rispetto a quello delle grandi tonnare perché serviva solo una piccola azienda di pesca che non aveva bisogno di un grande stabilimento. Oggi rimangono i resti della struttura, una delle più affascinanti tra le tonnare di ritorno, seppur danneggiata dal marrubio.
La Tonnara di Santa Panagia
Si trova in un contesto denso di testimonianze archeologiche di cui delinea i tratti salienti, fin dai primi insediamenti preistorici, sia nella contrada che nei pressi della cava e della relativa insenatura di più recente formazione, utilizzata probabilmente come porto-rifugio. È accertata la presenza di un nucleo di pescatori, già nel Medioevo, i quali praticavano anche la pesca del tonno in prossimità di Stentinello, a nord di Siracusa. I ruderi degli stabilimenti esistenti si possono far risalire al Settecento, probabilmente ricostruiti su un precedente impianto a seguito del terremoto del 1693. Negli anni ’60 la cessazione dell’attività determinò anche l’abbandono dellʼantico malfaraggio.